È morto il compagno Pepe Mujica, ex guerrigliero per anni in carcere ed ex presidente dell’Uruguay.
“Nella vita c’è un tempo per arrivare e uno per andarsene“, diceva Mujica. “Un buon leader è colui che non solo fa cose buone ma ha la capacità di creare una buona squadra in grado di continuarle“.
Abbiamo qualche riserva sulla parola leader, noi la cambieremmo con: compagno con grande esperienza e capace di assumersi grandi responsabilità, soccorrevole, di cui ci si può fidare, moralmente integerrimo, strategicamente intelligente ed utile a tutte/i quelle/i che vogliono lottare ed imparare nella lotta. Certificate queste qualità ognuno la/lo chiami come gli pare.
Pepe ha rischiato la vita nella guerriglia del Movimento di liberazione nazionale, Tupamaros (dal 1966). E nei 13 anni di galera – dal ’72 all’85 – con i quali ha pagato la sua militanza. Una galera dura, isolamento, torture psicologiche e fisiche, senza mai cedere.
Il suo “mitico” maggiolino Volkswagen era diventato il simbolo del suo stile parco e popolare, la vettura vecchia e un po’ scassata con cui si muoveva dalla casa di tre stanze nella chacra al palazzo della presidenza e ritorno.
Mujica non smise mai di vivere insieme alla sua compagna Lucía nella sua umilde fattoria a Rincón del Cerro, zona rurale vicina alla capitale uruguaiana, anche quando fu presidente.
Lavorava personalmente la terra con il suo trattore e vendeva i suoi prodotti, perché per anni donò il 90% del suo stipendio da Presidente alla lotta contro la povertà e il 5% al Movimento di Partecipazione Popolare (MPP). Sosteneva che con i pochi soldi che gli rimanevano, lo stipendio da senatrice della sua compagna e i prodotti che vendeva, avevano abbastanza per vivere entrambi.
Pepe ha sicuramente fatto degli errori, soprattutto nel finale, ma c’è molto da imparare nella sua esemplare conduzione di vita, nella sua umanità e nella sua integrità di combattente.
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