CONTRO I COLONIALISMI DI IERI E DI OGGI. SOLIDARIEÀ AL POPOLO PALESTINESE. FERMIAMO IL GENOCIDIO!

Un nostro contributo per la manifestazione di domani a Trento. NEL GIORNO DEL RICORDO, DECOLONIZZARE TUTTO. Piazza Duomo, ore 10.00.

CONTRO I COLONIALISMI DI IERI E DI OGGI. SOLIDARIEÀ AL POPOLO PALESTINESE. FERMIAMO IL GENOCIDIO!

(Leggetemi tutto, potrei piacervi)

Il colonialismo può avere molte divise, ma ha sempre un solo scopo: saccheggiare, opprimere, massacrare.

Vergogna, vergogna, vergogna.

Il colonialismo nazifascista in Jugoslavia è l’orrore che viene scientemente nascosto, manipolato (risulta fumosa la formula: «più complessa vicenda del confine orientale») e dimenticato ogni anno proprio in occasione del giorno del Ricordo, istituito a solennità civile nazionale 20 anni fa per volere degli eredi del fascismo italiano.

Il colonialismo israeliano è l’orrore attuale di un governo di uno Stato che chiama diritto alla difesa il massacro di 30.000 civili palestinesi di cui 10.000 bambini, la distruzione totale della Striscia di Gaza compresi ospedali, scuole, Università, lo sfollamento di più di un milione di palestinesi che rischiano di morire di carestia, di epidemie o massacrati dalla prossima offensiva dell’esercito israeliano nel Sud della Striscia. Intanto il capo del governo Netanyahu rifiuta il cessate il fuoco e manda avanti la sua macchina genocidaria senza che le famose “democrazie occidentali” impongano nessuna seria sanzione, nessuno stop al rifornimento di armi, ma anzi intervengano militarmente nel Mar Rosso contro chi tenta di incidere materialmente nella battaglia per fermare il genocidio in corso. Ancora una volta, le cosiddette “democrazie” come la nostra, in cui il 5% delle famiglie italiane possiede la metà della ricchezza nazionale (dati Bankitalia), difendono gli interessi dei milionari di casa e dei paesi “amici”, senza nessuna preoccupazione per le condizioni di vita e il futuro dei popoli, di tutti i popoli. Ecco, ancora una volta, il colonialismo.

Domani scendiamo in piazza perché difronte agli orrori del colonialismo di ieri e di quello di oggi non possiamo rimanere in un silenzio complice, ne va della nostra dignità, della nostra umanità, del nostro senso di giustizia, del futuro delle nostre figlie e figli e di tutte le bambine e i bambini del mondo, che un giorno ci chiederanno dove eravamo, cosa facevamo quando il massacro era in corso.

Per capire meglio quello di cui stiamo parlando, un po’ di storia.

Quando parliamo di colonialismo fascista italiano in Jugoslavia pensiamo al discorso di Mussolini che quasi vent’anni prima delle leggi razziali, nel 1920 a Pola, annuncia il programma coloniale: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche».

Da questo discorso si passa attraverso le persecuzioni, discriminazioni, le stragi del regime coloniale fascista fino all’occupazione nazifascista durante la Seconda guerra mondiale. L’occupazione dell’Asse costò la vita a un milione e mezzo di persone.

La guerra viene condotta dall’Italia con uno stile che in passato era stato riservato alle popolazioni coloniali africane. Una politica coloniale i cui battistrada erano stati i governi liberali italiani nella prima colonia italiana (1882-1890): l’Eritrea. I governi liberali usarono gli stessi metodi feroci che avevano già sperimentato nel Mezzogiorno d’Italia con la lotta al brigantaggio: un’azione di repressione a tappeto con uso indiscriminato di tribunali speciali e condanne a morte per fucilazione o impiccagione comminate con estrema facilità, in mancanza di prove e spesso anche di un vero processo. È stato ravvisato nell’atteggiamento dei generali italiani in Eritrea una fascinazione per il mito della frontiera americana, in cui si progettava la conquista totale del territorio e l’annientamento della popolazione locale.

Ai soldati italiani in Jugoslavia sotto il comando dei generali Robotti e Roatta venne ordinato di mettere in atto quello che fu un vero e proprio regime di “terrore” contro le popolazioni civili. Gli alleati Tedeschi in Jugoslavia non furono da meno applicando la regola per cui per ogni morto tedesco andavano fucilati 100 slavi.

Le pratiche usate furono quindi rappresaglie, deportazioni, confische, cattura di ostaggi, fucilazioni. Del resto basti pensare al discorso di un generale fascista rivolto ai soldati sul fronte greco-albanese molto apprezzato da Mussolini: “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori.”

100 mila slavi furono deportati in 50 campi di concentramento presenti nell’Italia centro-meridionale, in 10 campi dell’Italia settentrionale, e nei campi costruiti sul luogo, come Gonars e Arbe. In quest’ultimo su 10 mila internati furono 2 mila i morti. Nessun processo di Norimberga per questi massacri.

Un esempio dimenticato di repressione è la Strage di Lipa, sulla strada tra Fiume e Trieste, avvenuta il 30 aprile 1944: in rappresaglia ad un attacco partigiano che ha ucciso 4 soldati tedeschi le truppe nazifasciste radunano gli abitanti sparsi nelle vicinanze, li stipano in un casolare e li bruciano vivi. Gettano poi bombe a mano per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti sono 269, fra cui donne e bambini (tre bambine non avevano neanche un anno).

Potremmo anche parlare del regime criminale degli Ustascia sostenuto dal Governo fascista Italiano, i cui frutti furono: 300 mila esuli in fuga dal Paese, oltre 500 mila serbi uccisi, da aggiungersi ai 25 mila ebrei e a 20 mila rom.

Molte sono le testimonianze degli stessi soldati italiani presenti alle esecuzioni degli Ustascia. Citiamo quella del generale Ponticelli, in una intervista rilasciata al giornale “Il Tempo”: “…quattro lustri di odio sono esplosi in un massacro che in un breve lasso di tempo ha avuto quale risultato lo sterminio di 350 mila serbi e decine di migliaia di altri… Tutti furono uccisi con torture inimmaginabili… Tutto può essere facilmente accertato e apparire in tutte le sue atrocità… Gli orrori che gli ustascia hanno commesso sulle ragazze serbe superano ogni idea… Centinaia di fotografie confermano i misfatti subiti dai pochi sopravvissuti: colpi di baionetta, lingue e denti strappati, occhi estirpati, seni tagliati, tutto ciò accadeva dopo che esse erano state violentate…”.

In questo contesto nasce e si sviluppa la Resistenza Partigiana al fascismo italiano e al nazismo tedesco.

Mussolini esclamò a Gorizia nel 1942: «Al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto». (A proposito di italiani brava gente!)

È di grande conforto e orgoglio che molti italiani si unirono alle fila della Resistenza. In tutto saranno 7000 gli italiani morti combattendo tra le fila partigiani. Italiani che disertarono le fila del proprio esercito oppressore per un grande ideale di giustizia sociale e di libertà scardinando la trappola dell’arruolamento nelle fila del proprio nazionalismo e andando a riscattare almeno in parte il nostro popolo che aveva portato il flagello del fascismo e della guerra.

È una vergogna che questi eroi della resistenza al Nazifascismo siano dimenticati e scartati dal calendario civile di una Repubblica nata dalla Resistenza.

Torniamo all’orrore di oggi.

La settimana scorsa al centro congressi internazionale di Gerusalemme era presente uno stand col titolo “Vieni a costruire la tua casa a Gaza”! L’occasione era la “Conferenza per la vittoria di Israele” organizzata da vari gruppi di coloni israeliani.

Fra i partecipanti al convegno presenziavano 11 ministri del governo israeliano e 15 parlamentari della destra israeliana. I partecipanti venivano invitati a scrivere i loro cognomi su adesivi colorati e posizionare dei blocchetti di legno su una pianta di Gaza City nella zona in cui avrebbero desiderato stabilirsi a guerra finita. Un tetro e feroce incrocio fra un Monopoli e un Risiko, che esprime in maniera semplice e chiara cosa siano la visione e la pratica del colonialismo d’insediamento israeliano.

Un suprematismo ebraico, andato a lezione dal suprematismo bianco coloniale, teso a conquistare quante più terra possibile terrorizzando e uccidendo i palestinesi. Un colonialismo d’insediamento che ha consapevolmente distrutto l’eredità del grande pensiero ebraico che si è opposto all’oppressione, basti pensare a Walter Benjamin, a numerosi ebrei ex partigiani che in Francia, durante la guerra d’Algeria, vedevano nel loro sostegno al Fronte di Liberazione Nazionale algerino (Fln) un proseguimento dell’impegno antifascista o all’odierno collettivo di ebrei francesi “Tsedek!”, anticolonialista, antirazzista, antisionista che afferma: “Finché lo stato è razzista e colonialista, noi ebrei non dovremmo fare affidamento su di esso per la nostra protezione e la nostra libertà” oppure al collettivo ebraico negli Stati Uniti Jewish Voice for Peace, molti membri del quale sono stati arrestati per aver manifestato in solidarietà al popolo palestinese.

Come ha detto un cristiano palestinese poco tempo fa: “Gaza è la bussola morale del mondo”. Non possiamo lasciare soli i palestinesi. Possiamo contribuire a fermare il genocidio e possiamo imparare molto.

Denunciamo questo orrore alle persone che conosciamo, portiamo i racconti sui posti di lavoro, a casa, al bar, nei quartieri, nei circoli. Facciamo montare una marea di indignazione e di solidarietà capace di unirsi in un movimento internazionale di protesta, critica dei propri governi complici, boicottaggio delle aziende complici con il colonialismo israeliano, sull’esempio di quanto i popoli hanno fatto contro l’orrore dell’apartheid in Sudafrica.

Accomuniamoci nella lotta al colonialismo israeliano e a tutti i colonialismi, più o meno mascherati.

La lotta per la decolonizzazione è un attributo contemporaneo di qualsiasi lotta sociale, anche nel cuore del capitalismo.

Il colonialismo è lo sfruttamento selvaggio che si esercita sull’umanità, sulle lavoratrici e i lavoratori, sull’ambiente, in qualsiasi parte del mondo (che sia centro o periferia) da parte dei grandi capitalisti, da quei 26 individui – e articolazioni connesse – che detengono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone sulla Terra. Chi rimane stupefatto e incredulo rispetto a questi dati, può verificare facilmente su fonti e documenti assolutamente attendibili.

Lottiamo assieme per decolonizzare i nostri sogni. Scrolliamoci di dosso la fascinazione per la concorrenza.

Uniti si vince.

La vittoria degli sfruttati contro gli sfruttatori, contro il loro sistema e il loro scopo, è l’unica garanzia per un futuro effettivo e degno.

Ricordiamoci delle parole dell’ammiraglio Bauer, comandante del NATO Military Committee, composto dai Capi di Stato Maggiore di tutti i Paesi NATO, che inizia a prepararci alle future guerre fratricide fra popoli:

“dobbiamo essere pronti a vasto spettro. Bisogna mettere in piedi un sistema per trovare più gente se si arriva alla guerra, che ci si arrivi o no. Poi si parla di mobilitazione, riservisti o coscrizione. Bisogna poter contare su una base industriale che sia capace di produrre armamenti e munizioni abbastanza velocemente da poter continuare il conflitto se ce ne sarà uno“.

Impariamo già adesso a fraternizzare fra i popoli, a solidarizzare con le resistenze all’oppressione, a disertare i piani di guerra dei milionari e l’arruolamento delle coscienze e dei sentimenti, a batterci per una comune giustizia sociale e ambientale.

Seguendo il suggerimento di un nostro interlocutore abbiamo aperto un canale Telegram! Per dialogare e criticare le nostre proposte di critica alla cultura dominante vi invitiamo a iscrivervi: https://t.me/ControculturaSpazioapertoBBrecht

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *